Era il 12 febbraio 2004 e a Viterbo, nella sua casa viene trovato morto, riverso sul letto, Attilio Manca, medico di fama mondiale pur se ancora giovanissimo, unico in Italia a eseguire già nel 2001 interventi di prostatectomia per via endoscopica.
Il volto è tumefatto, il setto nasale deviato, il sangue fuoriuscito da naso e bocca e ve ne sono tracce sul resto del corpo e sparse un po’ dovunque. I testicoli sono abnormi. Il quadro che si presenta farebbe pensare subito a un omicidio a seguito di un pesante pestaggio. Non è così: sul braccio sinistro ci sono due buchi da siringa e l’esame autoptico rivela nel corpo tracce di eroina mista a Tranquirit, potente tranquillante. La diagnosi è presto fatta: suicidio.
Suicidio? Ma il dottor Manca era un mancino puro e, quindi, come ha potuto iniettarsi la micidiale mistura nel braccio sinistro? E come mai non si sono trovati il laccio emostatico e l’attrezzatura per sciogliere l’eroina? E perché non ci sono impronte digitali e tutto è pulitissimo?
Eppure, nonostante queste e tante altre domande fossero più che legittime, non hanno trovato risposta. Sono passati quasi diciotto anni da quel terribile giorno e la madre, il padre e il fratello di Attilio Manca aspettano ancora le risposte alle domande che hanno posto alla magistratura insieme ai loro avvocati. Addirittura per il “caso” Manca fu presentata anche una Relazione Parlamentale di minoranza! Collaboratori di giustizia hanno parlato, il dottor Manca doveva essere ucciso. E’ pure venuta fuori una intercettazione, nientedimeno risalente al 2003 in cui qualcuno diceva che a un certo dottore dovevano “fare la doccia” che in linguaggio mafioso vuol dire: deve essere ucciso.
L’intercettazione, pubblicata da AntimafiaDuemila in un articolo di Tobias Follet e di Antonella Beccaria, rivelava che i pm romani avevano piazzato delle microspie in una masseria dove si trovava il mafioso Bernardo Provenzano insieme ad altri uomini e fossero state registrate le loro voci che condannavano a morte il medico che si era rifiutato di visitare il capomafia, pur non pronunciando mai il suo nome. Ma le coincidenze sono troppe.
E di certo, se si fosse indagato per tempo, probabilmente Attilio Manca oggi sarebbe ancora vivo!
Sara Favarò nel suo ultimo libro “Qualcosa è cambiato. Attilio Manca, suicidio?”, pubblicato dalla casa editrice Villaggio Letterario, con la prefazione di Don Luigi Ciotti, l’introduzione di Marina Baldi e la postfazione di Salvatore Borsellino, si pone molte domande e cerca le risposte a questo giallo ancora oggi, dopo diciotto anni, irrisolto e cerca la verità che tanto ha invocato la madre di Attilio, Angela insieme al padre e al fratello dell’allora trentacinquenne medico.
Grazie a questa intercettazione potrebbero essere riaperte le indagini, questo sperano i familiari di Attilio Manca insieme ai loro avvocati Repici e Ingroia che entro un mese depositeranno la richiesta, così come hanno annunciato.
Il merito di Sara Favarò è quello di avere raccolto in un unico libro la storia di questo fatto di cronaca nera e quando un fatto irrisolto di cronaca nera passa tra le mani di una giornalista che è anche scrittrice di lungo corso, ecco che il fatto di cronaca si fa racconto ma non romanzo, senza orpelli linguistici ma accompagnato da una ricchezza di particolari documentali a cui sono totalmente estranei invenzione e, resistendo alla tentazione di romanzare il fatto, ne fa invece resoconto vero. Non è comunque arido anzi, la passione e i sentimenti trovano spazio ugualmente ma senza alcuna invenzione o travisamento bensì cruda realtà.
Il libro è anche corredato da una breve rassegna fotografica, concessa dalla famiglia.
Teresa Di Fresco