Nessun cenno all’app “Immuni” nella conferenza stampa del Premier
Ieri sera alle 20:20 il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nel corso di una conferenza stampa “urbi et orbi”, ha comunicato gli sviluppi relativi all’emergenza sanitaria in corso e, soprattutto, l’attesissimo piano di riaperture, quella Fase 2 di cui si parla oramai da un po’ di tempo. Se qualcuno si aspettava la liberalizzazione degli spostamenti dal prossimo 4 maggio è rimasto deluso come sono rimasti delusi, ovviamente, tutti i titolari degli esercizi pubblici che dovranno ancora tenere abbassate le serrande. Ma la vera protagonista della Fase 2 era assente. Nessuna parola, e nemmeno nessun accenno, relativamente all’app “Immuni”, il sistema di contact-tracing previsto dal Governo Italiano per affrontare le fasi di riapertura e per permettere, quindi, la mappatura degli spostamenti e dei possibili rischi di ulteriore contagio. E’ evidente che il Premier ha sintetizzato il DPCM di prossima uscita e non è sceso in particolari e bisognerà attendere, perlomeno, la bozza per poter effettuare un’approfondita analisi. MA della app “Immuni” nessuna parola. Perché?
Sembra che, dietro le quinte, sia in corso una discussione dagli esiti imprevedibili all’interno del governo, tra i ministri competenti, e tra le diverse task force. Un dibattito che per ora ha bloccato lo sviluppo definitivo della app. Questo rappresenta il motivo per il quale la Fase 2 non inizierà il 4 maggio, data in cui inizierà la cosiddetta Fase 1.2, termine coniato dalla stampa. È evidente oramai a tutti che senza un’app che ricostruisca subito i contatti di chi scopre di essere positivo, consentendo test mirati e quarantena dei singoli, qualunque vero alleggerimento delle misure collettive d’isolamento sociale equivale alla possibilità di nuovi focolai e nuove emergenze.
La discussione politica in corso, apparentemente, è sulle scelte tecnologiche, ma in realtà è sul rapporto fra Stato e cittadini. La questione è fidarsi o imporre? C’è chi vorrebbe l’app obbligatoria per tutti, una sorta di passaporto per uscire di casa, una scelta che non ha fatto nessuna democrazia nel mondo finora, escludendo quindi la Cina che non è una democrazia.
Nelle democrazie, soprattutto occidentali, prevale la linea per cui dovrà essere volontaria, anche se è oramai evidente che i dati raccolti e aggregati dell’app risulteranno essere efficaci solo se molti cittadini, si parla del 60%, la scaricheranno e la attiveranno, la vera sfida in questa clima di sospetti e poca trasparenza da parte dell’esecutivo. Non è passata la psuedo-volontarietà, con il tentativo di legare l’uso dell’app a degli incentivi, facendola così diventare una obbligatorietà mascherata. La discussione si è quindi spostata sul ruolo del sistema sanitario nazionale: modello di gestione dei dati dei contagiati centralizzato o decentralizzato?
Una risposta arriva da Apple e Google, che assieme controllano quasi la totalità del mercato degli smartphone. Il 10 aprile, sulla base di un comunicato stampa diramato dalle società, hanno deciso di collaborare per far dialogare i rispettivi sistemi bluetooth e, nella giornata del 23 aprile, hanno presentato ufficialmente una serie di innovazioni che rendono lo scambio di questo codice non solo anonimo, ma cifrato con un nuovo sistema di cifratura avanzatissimo. Impossibile, dicono, risalire all’identità dei possessori degli smartphone. La soluzione di Google ed Apple sarà pronta solo all’inizio di maggio. Da quel momento sarà possibile utilizzarla per sviluppare le app. Ma, visto il silenzio, non è possibile sapere se questa sarà la soluzione scelta del governo italiano. Rimangono però voci che qualcuno spinga per un’app più invasiva, sostenendo che altrimenti “non serve a nulla”. Di fatto è ancora tutto fermo e la Fase 2 è ancora lontana.