In mezzo alle bottiglie rotte, ai proiettili, ai vetri frantumati, ai divani strappati e sporchi, quella notte, sono rimasti a terra senza vita i corpi di 49 persone
Così leggiamo su “Repubblica” del 12 giugno 2016 a firma di Agnese Ananasso, Piera Matteucci e Alessio Sgherza:
ORLANDO (Florida) – È entrato in un locale gay di Orlando e ha aperto il fuoco, uccidendo almeno 50 persone e ferendone altre 53, un bilancio che fa di quella odierna la peggior strage compiuta con armi da fuoco (e quindi esclusi gli attentati con bombe o l’11 settembre) nella storia degli Stati Uniti. Una strage dietro la quale non si sa ancora con certezza se ci sia un gesto omofobo di una persona evidentemente instabile o un atto terroristico. E un’altra notizia – arrivata dall’altra parte degli States – nutre il timore che si possa trattare di un atto coordinato: James Howell, 20 anni, è stato arrestato a Santa Monica, in California, mentre era diretto al Gay Pride di Los Angeles con un arsenale nell’auto, tre fucili d’assalto, numerose munizioni e 18 litri di prodotti chimici con cui si possono fabbricare ordigni rudimentali. Le indagini sono ancora in corso, ma il sindaco Garcetti esclude un collegamento con il massacro di Orlando.
Sono passate da pochi minuti le 2:00 del 12 giugno 2016. Siamo a Orlando, Florida. All’interno del noto locale gay Pulse, Omar Mateen armato di un fucile semiautomatico Sig Sauer MCX e di una pistola semiautomatica Glock 17, dopo aver superato i controlli all’ingresso del locale ed esservi entrato, ha aperto il fuoco sulla folla intenta a danzare sulla pista da ballo, durante la serata di balli latino-americani organizzata dal locale. Immediatamente, la gente ha iniziato a correre per cercare di mettersi in salvo, gettandosi a terra o cercando rifugio nei bagni del locale, mentre altri sono riusciti a fuggire dalla furia omicida scappando dalle uscite di sicurezza, in preda al terrore. Alcuni addetti alla sicurezza, all’interno del locale, hanno risposto al fuoco del killer. Dopo aver cercato di fuggire immediatamente dopo la sparatoria, Mateen è stato inseguito da un agente di guardia del locale che ha ostacolato la sua fuga aprendo il fuoco contro di lui. A quel punto, il killer è rientrato nel locale e, asserragliatosi al suo interno, ha preso in ostaggio le persone che, poco tempo prima, avevano cercato di nascondersi nei bagni e nel retro del club. Alcuni hanno immediatamente chiesto aiuto con vari SMS ai familiari, attraverso dei “tweet” e con post pubblicati su Facebook. Alle ore 02:09, la pagina ufficiale del locale, rendendosi conto della tragica situazione, ha immediatamente pubblicato un post su Facebook, invitando tutti gli ospiti a “mettersi in salvo e a scappare”. Alcune ore, durante lo scontro a fuoco che chiude il tragico episodio, Mateen viene ucciso dalla polizia. Omar Mateen era nato nel 1987 a New York, da una famiglia di origine afgana. Cittadino statunitense, viveva a Fort Pierce, una cittadina a 200 chilometri dal luogo della strage. Aspirava a fare il poliziotto, fece domanda all’accademia. Divenne invece guardia giurata. Secondo un amico d’infanzia, era un ragazzo giocoso, divenuto serio da adulto. Praticava il bodybuilding. Chi lo conosceva ha raccontato che partecipava alle preghiere della sera al Centro islamico di Orlando tre o quattro volte alla settimana insieme al figlio minore. L’imam Syed Shafeeq Rahman l’ha descritto come un uomo schivo, che non socializzava con nessuno, ma non aveva mai manifestato inclinazioni violente. In mezzo alle bottiglie rotte, ai proiettili, ai vetri frantumati, ai divani strappati e sporchi, quella notte, sono rimasti a terra senza vita i corpi di 49 persone.
Roberto Greco per referencepost.it