“Esiste un solo modo per combattere ignoranza e odio: usare la conoscenza per aiutare la razza umana”
Italia anno domini 1327 ma tanto simile a questo 2019. Si cercano e si trovano analogie con il presente. Non solo l’odio e l’ignoranza cui contrapporre l’arma della conoscenza, ma pure la paura, perché “mentre sogniamo mondi migliori, governanti ciechi guidano popoli ciechi verso l’abisso”, o quel “se il mondo non vi vuole, ricordate che ha rifiutato Cristo prima di voi”. O ancora, “nessuna guerra è giusta, il mondo non si cambia uccidendo”. E come fai a non ammirare ancora una volta l’occhio lungo, lunghissimo dell’autore del capolavoro.
“Un grande libro che, dentro la struttura poliziesca, contiene tutto. Storia, filosofia, scienza, amore, terrorismo”: così Giacomo Battiato, regista de Il nome della rosa, ha descritto il bestseller di Umberto Eco da cui la serie tv di Rai1 è tratta, un romanzo più che mai attuale pur essendo ambientato nel Medioevo. Il progetto, una co-produzione 11 Marzo Film, Palomar con Tele Munchen Group in collaborazione con RaiFiction, arriva a distanza di 33 anni dalla trasposizione cinematografica con Sean Connery nel ruolo di Guglielmo da Baskerville. Certo, il confronto con il film diretto nel 1986 da Jean-Jacques Annaud è inevitabile. I commenti sui social citano Sean Connery, “l’unico e il solo Guglielmo”, o ne rimpiangono l’ironia, il grottesco, qui sacrificati alla solennità del racconto. O l’atmosfera, per alcuni poco tesa, poco thriller, troppo Game of Thrones. C’è chi riconosce, nelle battute, precise frasi del libro, chi critica i capelli troppo pettinati dei monaci, i serial-freaks fanno a chi arriva prima a ricordare i precedenti degli interpreti, il più gettonato è Michael Emerson, qui nel ruolo dell’abate Abbone ma per tutti Benjamin Linus di Lost. Ma, forse, l’unica verità l’ha detta John Turturro che interpreta Guglielmo da Baskerville. In una sua intervista, rilasciata a Fabio Fazio, ha dichiarato “la mia unica ispirazione è stato il libro di Umberto Eco. E’ lui il vero Guglielmo da Baskerville“.
Sullo sfondo, un’Europa di migranti, fondamentalisti e oscurantismo, in cui il sapere è una minaccia da annientare. Tutto raccontato dallo stesso Adso, il giovane protagonista interpretato da Damian Hardung che così dice all’inizio della puntata: “Giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questa pergamena testimonianza degli eventi mirabili e tremendi cui mi accadde di assistere in gioventù, sul finire dell’anno 1327”. “Il nome della rosa” è una serie televisiva di fattura sontuosa, contraddistinta da un respiro internazionale e cura dei dettagli. La fotografia, i costumi, i notturni, quei luoghi fermi nel tempo, o le facce dei monaci, brutti come i dèmoni che combattono. Costata circa 26 milioni di euro e girata tra Cinecittà, dove è stata ricostruita la celebre abbazia narrata da Eco e, per gli esterni, nel Centro Italia, la serie co-prodotta da 11 Marzo film, Palomar e Tele Munchen Group in collaborazione con Rai Fiction, sfodera un cast internazionale. Le location sono sparse tra Lazio e Abruzzo e tra queste troviamo l’Eremo di Santo Spirito, il castello di Roccascalegna, le gole di Fara San Martino, il parco archeologico di Vulci, Perugia e Bevagna. John Turturro si è calato con maestria nei medievali panni di Guglielmo da Baskerville, il monaco francescano inglese che, chiamato a rappresentare il suo ordine minacciato dal potere temporale del Papa francese Giovanni XXII, si trova a condurre l’indagine sui misteriosi delitti dei monaci dell’abbazia benedettina sulle Alpi. I social plaudono la regia di Giacomo Battiato, all’interpretazione di John Turturro, l’apparizione di Rupert Everett, Alessio Boni, Fabrizio Bentivoglio, Roberto Herlitzka. Pochi hanno riconosciuto Stefano Fresi dietro alle ore di trucco cui s’è sottoposto per impersonare Salvatore, tanti esultano quando sentono dalla sua voce il monito già tormentone al tempo del film: “Penitenziàgite!”.
Roberto Greco per referencepost.it