Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani segnala una data molto importante per la storia dei diritti umani in Italia: il 5 marzo 1943, che segnò l’inizio di una serie di manifestazioni operaie riguardanti i principali stabilimenti industriali del Nord Italia (Fiat di Mirafiori; Grandi Motori; Westinghause; Nebiolo; Officine di Savigliano; Ferriere Piemontesi; Microtecnica; Aeronautica; Villar Perosa etc.).
Le proteste incominciarono per reazione ad una qualità di vita insostenibile contrassegnata da angherie sul lavoro e da un’estrema povertà. La carenza di generi di prima necessità e i sacrifici costantemente richiesti in funzione del conflitto spinsero donne e uomini a reclamare con vigore la pace e consequenzialmente il rovesciamento del regime fascista che aveva trascinato il Paese alla deriva. La catena di scioperi che paralizzò l’Italia nella sua produzione più nevralgica dimostrò quanto ormai il ruolo dei lavoratori e degli operai fosse diventato cruciale nella società moderna, a tal punto da rendere non più contrattabili o rimandabili le istanze e le richieste legittime espresse e da orientare politicamente una nazione. L’evento insegnò solidarietà di classe e spirito organizzativo e rimase nella memoria collettiva come monito-esempio per le rivendicazioni successive, soprattutto quelle degli anni Sessanta/ Settanta.
Lo sciopero e la possibilità di esercitarlo secondo i limiti previsti della normativa divenne il termometro della civiltà di uno Stato. Molti documenti importanti fanno riferimento allo sciopero (Italia: art. 40 Cost.; CCNL; Legge 20 maggio 1970, n. 300; legge 146/1990, modificata e integrata dalla legge 83/2000) anche se la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo non lo cita. Invece l’Articolo 8 (1 comma, lettera d) del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, attesta l’obbligo da parte delle nazioni di garantire “il diritto di sciopero, purché esso venga esercitato in conformità alle leggi di ciascun paese”. A conti fatti laddove esiste il diritto al lavoro sussiste implicitamente o esplicitamente il diritto allo sciopero. Indubbiamente la responsabilità civile impone che la possibilità di esercitare le proprie rivendicazioni non sia scissa da dei doveri morali: pensiamo ai servizi pubblici essenziali. Tuttavia fortunatamente tale prerogativa non sembrerebbe essere messa in discussione; eppure qualche campanello d’allarme pare echeggiare. Proprio per tale motivo non si deve abbassare la guardia, consapevoli che il diritto dei lavoratori riguarda tutti noi e corrisponde a una cittadinanza legittimata.
Il CNDDU nell’ambito dell’insegnamento dell’Educazione civica propone di approfondire le tematiche in oggetto mediante un role playing incentrato sul rapporto tra le associazioni datoriali; i sindacati; i lavoratori e le autorità pubbliche competenti al fine di comprendere le dinamiche contrattualistiche e rivendicative alla base del diritto di sciopero. “Se ne dicono tante sui sindacati. Certamente, essi devono essere guidati da persone che abbiano nella mente e nel cuore i diritti dei lavoratori, e che non vengano a compromesso con istanze vetero-corporative. Si possono e si devono criticare quelle dirigenze sindacali che si sono burocratizzate o, più o meno palesemente, partiticizzate. Ma chiediamoci: se non ci fossero stati i sindacati, sarebbe stato possibile avviare la ‘civiltà del lavoro’? E se non ci fossero oggi, sarebbe possibile riprendere quel cammino?
Riflessione finale, forse troppo ovvia.” (Antonio Papisca, Articolo 23 – Per un lavoro dignitoso)