“Immuni”, necessaria una copertura pari al 60% della popolazione per avere analisi significative
Tutto il mondo è in ostaggio dell’emergenza dovuta alla pandemia generata dal Coronavirus. Ogni singolo Stato sta già prevedendo come gestire la prima fase successiva, quella che avrà in inizio con la stabilizzazione dei contagi. Anche l’Italia, paese in cui è stata ipotecata la data del 4 maggio per dare l’avvio alla Fase 2. Tra gli strumenti previsti, che dovranno diventare consuetudine, ci sono i dispositivi di protezione individuale, come mascherine e guanti in lattice. Per ciò che riguarda le mascherine, però, non è ancora chiaro se saranno obbligatorie le c.d. mascherine chirurgiche o se invece lo saranno le più performanti mascherine FFP-2. Differenza di non poco conto, stante la notevole differenza di prezzo tra i due modelli, peraltro, tecnicamente definite “a perdere”, quindi non riutilizzabili ad libitum.
Ma un ruolo predominante, per la gestione della Fase 2, sembra avere l’app di tracciamento. Si tratta di un’applicazione installabile sugli smartphone che è composta di due parti, una dedicata al contact tracing vero e proprio, via Bluetooth, e l’altra destinata ad ospitare una sorta di “diario clinico” in cui l’utente potrà annotare i dati relativi alle proprie condizioni di salute, come la presenza di sintomi compatibili con il virus. Il Governo Italiano ha già fatto la sua scelta. Si chiama “Immuni” ed è sviluppata dall’italiana Bending Spoons. L’applicazione è disponibile sia per iOS sia per Android. L’applicazione si fonda, come le soluzioni di Singapore, Apple e Google, sulla tecnologia Bluetooth Low Energy (BLE) e mantiene i dati dell’utente sul proprio dispositivo, assegnandogli un ID temporaneo, che varia spesso e viene scambiato tramite Bluetooth con i dispositivi vicini. E’ ovvio che, per installarla, serve uno smartphone e, nonostante le intenzioni di massima diffusione volute dal Governo, non è in possesso di tutti gli italiani. Soprattutto non è diffuso tra la parte più anziana della popolazione che usa telefoni cellulari di tipo tradizionale.
L’obiettivo del governo è arrivare al 60% dei cittadini “connessi”, per verificare in tempo reale il livello del possibile contagio. Il tema è delicato perché incrocia la tutela della privacy e l’efficacia dei controlli decisivi per la Fase 2, cioè per la riapertura del Paese. Quindi per essere utile alla causa dovrà essere scaricata almeno dal 60% della popolazione altrimenti i contatti mappati non sarebbero sufficienti a tenere sotto controllo la situazione. Il tutto, sembra, nel rispetto della privacy delle singole persone, viste che tutte le informazioni sarebbero anonimizzate. E’ chiaro che serve un incentivo che spinga il maggior numero possibile d’italiani a scaricare la app sul proprio smartphone. S’ipotizza anche la disponibilità di un braccialetto elettronico per le persone anziane, proprio quelle che non hanno uno smartphone o che sono poco abituate al suo uso, che sono però ritenute le più esposte a rischi del Covid-19. Tra gli incentivi per la sua diffusione, si dice, c’è proprio la volontarietà della sua installazione, come già chiarito dal Governo.
E se il numero d’installazioni non raggiungesse il fatidico 60%? Sembra che si stia ipotizzando una serie di limitazioni alla libertà di movimento. Non si tratta dell’obbligo di restare in casa, perché sarebbe anticostituzionale. Potrebbe però esserci una stretta sugli spostamenti nella Fase 2 che invece, per tutti gli altri, saranno consentiti progressivamente. La proposta, ancora in fase di elaborazione, potrebbe essere formalizzata nei prossimi giorni dalla commissione tecnico-scientifica, d’accordo con Domenico Arcuri, il commissario straordinario che ha firmato l’ordinanza proprio per l’app, e d’intesa anche con la task force guidata da Vittorio Colao. La decisione finale, naturalmente, spetta al governo.