Si stima che i dispositivi vengano usati per più di cinque ore al giorno, disabituando le persone a pensare e a relazionarsi in maniera naturale con gli altri
Dati recenti stimano in cinque le ore al giorno di utilizzo (netta prevalenza come strumento di navigazione in rete e subito dopo come messaggistica) dello smartphone. Un uso non privo di rischi, soprattutto per i più giovani. “Questo uso intensifica – spiega Giovanni Battista Tura, responsabile di Psichiatria dell’Irccs Fatebenefratelli di Brescia – l’accelerazione fra intenzione e azione, fra richiesta e soddisfacimento della stessa. Positivo, tutto ciò, per alcuni versi, negativo se non ci consente più di filtrare, attendere, decidere, procrastinare, rimandare, sostanzialmente ‘pensare’. E poi, la pretesa che i nostri interlocutori siano sempre disponibili, ‘on line’; la pretesa – di fatto – che i nostri tempi siano i loro. Ancora, la velleità che attraverso sintetiche chat si dirimano questioni fondamentali, a volte centrali del nostro esistere e delle nostre relazioni. Pensiamo poi a quanto questo strumento, sempre ovviamente in un uso disequilibrato fino al patologico, consenta di mettere in scambio solo una porzione filtrata, virtuale e non onnicomprensiva di noi, con il rischio di false identità non realmente rappresentative di noi”. “Ricordiamo- specifica Tura- però che questo è quello che riceviamo anche dai nostri interlocutori, generando quindi relazioni parziali e artificiose. Ovviamente questi possono diventare i presupposti per percorsi di sofferenza psichica di diversa natura: se l’artificiale sostituisce il reale, quando poi il reale ti interpella con le sue istanze complete, se non sei allenato, scappi, vai in ansia, ti deprimi. Un circolo vizioso, in cui causa ed effetto si mescolano, in cui determinanti e risultato si confondono”. “Questo discorso diviene primario per gli adolescenti perché si sommano due variabili che diventano fattori di moltiplicazione: da un lato l’elevata fruizione di questo strumento tipico della fascia adolescenziale, dall’altro il delicato e fragile percorso di identificazione e di adultizzazione in corso, in cui ogni variabile in campo ha un valore specifico elevato, e più queste variabili sono disequilibranti, innaturali e decontestualizzate con il fisiologico crescere, più sono a rischio di generare malessere e reali disturbi”, conclude Tura.
Sono tante le persone che provano a uscire dalla dipendenza da smartphone. E ci sono sistemi per riuscirci, lo hanno studiato i ricercatori dell’Alma mater di Bologna. La scienza può correre in aiuto, suggerendo alcune “pratiche di resistenza“. Un gruppo di ricercatori dell’Alma Mater di Bologna ha analizzato quasi mille testimonianze, individuando le quattro principali motivazioni che possono spingere le persone a ridurre l’uso del telefono, corredandole di tattiche specifiche per riuscirci. Lo studio è stato pubblicato di recente sulla rivista ‘Computers in human behavior’ e ripreso anche dalla ‘Harvard business review’.
Ma quali sono queste misure contro lo strabordare dello smartphone nelle abitudini quotidiane? Si va dall’atto più ‘banale’ di tutti, ovvero lasciare il telefono nella giacca o nello zaino per non averlo sempre sott’occhio, al disabilitare le notifiche. E ancora, si possono stabilire orari e momenti di utilizzo oppure si può dialogare in famiglia per aiutarsi a vicenda a limitare lo smartphone. “Al lavoro o durante il nostro tempo libero spesso decidiamo di interrompere quello che stiamo facendo per controllare una notifica o le ultime notizie sui nostri smartphone- sottolinea Marcello Russo, coordinatore dello studio- allo stesso modo, però, possiamo decidere di uscire da questo stato di connessione costante, riducendo il tempo che dedichiamo ai nostri cellulari e concentrandoci di più su quello che stiamo facendo. Nel nostro studio abbiamo raccolto diversi esempi di persone che hanno trovato il modo di farlo”. Per individuare motivazioni e strategie di ‘disconnessione’, i ricercatori hanno analizzato e catalogato quasi mille testimonianze raccolte online a commento di un articolo, pubblicato su LinkedIn, dedicato alle conseguenze sulle interazioni sociali dell’utilizzo eccessivo degli smartphone. “Dall’analisi di questi casi abbiamo rilevato che le persone scelgono di disconnettersi dai propri smartphone per ragioni diverse– spiega Russo- e nonostante sia importante avere una strategia, per ottenere un vero e proprio cambiamento nelle proprie abitudini è necessario che la strategia sia in linea con i valori e le motivazioni che spingono a compiere questa scelta”.
La prima motivazione emersa dallo studio che può aiutare le persone a mettere un freno al telefono è legata alla volontà di migliorare il proprio rendimento sul lavoro o il proprio contributo alla vita familiare. In questo caso, il modo migliore è tenere lo smartphone lontano da sè, ad esempio nella giacca, in borsa o nello zaino.
La seconda motivazione è invece legata allo sviluppo di una ‘filosofia digitale’ personale. “Poco meno di un terzo delle testimonianze che abbiamo analizzato sono connesse a una riflessione personale sul ruolo della tecnologia e su quanto vogliamo che questa sia parte della nostra vita- spiega Gabriele Morandin, ricercatore dell’Alma Mater di Bologna- in diversi casi le persone arrivano a questa riflessione a seguito di eventi non previsti, ad esempio ritrovarsi improvvisamente con il telefono rotto o con la batteria scarica o in una zona non coperta dal segnale telefonico”. Non a caso, la strategia più usata da questo gruppo di persone per ridurre l’uso del cellulare è stabilire regole sui tempi di utilizzo, ad esempio “mai durante i pasti“.
La terza motivazione che spinge a resistere alla tentazione del cellulare ha a che fare con l’attenzione a non apparire scortesi nei rapporti interpersonali. In questo caso, la cosa più utile da fare è disabilitare le notifiche. Oppure scegliere di non usare l’app per controllare le e-mail, rendendo così più lungo il percorso per aprire la casella di posta elettronica e scoraggiando un controllo frequente.
Infine, l’ultima motivazione individuata dai ricercatori dell’Alma Mater di Bologna nasce dalla volontà di valorizzare le relazioni interpersonali e familiari. “Molte persone- spiega Morandin- sono state spinte a ridurre l’uso dello smartphone su sollecitazione dei propri familiari: figli piccoli che vogliono giocare più spesso con loro o partner che chiedono di passare più tempo insieme”. In questo caso, le strategie migliori individuate sono legate allo sviluppo di una maggiore consapevolezza del tempo speso al telefono e delle priorità di vita, oltre a un maggior dialogo su questi temi con familiari, partner e colleghi.
Fonte: dire.it