Il bilancio di questa strage, la più efferata compiuta nell’Italia repubblicana, fu di 85 morti e 200 feriti
Sabato 2 agosto 1980 alle 10,25 un ordigno ad alto potenziale esplose nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna: lo scoppio fu violentissimo e provocò il crollo delle strutture sovrastanti le sale d’aspetto di prima e seconda classe, dove si trovavano gli uffici dell’azienda di ristorazione Cigar, e di circa 30 metri di pensilina. L’esplosione investì anche il treno Ancona-Chiasso, in sosta al primo binario. Il bilancio di questa strage, la più efferata compiuta nell’Italia repubblicana, fu di 85 morti e 200 feriti. I soccorsi vennero organizzati immediatamente e ancora prima dell’arrivo delle ambulanze e dei vigili del fuoco i sopravvissuti vennero aiutati da passanti, ferrovieri e tassisti. Anche le automobili private furono utilizzate per il trasporto dei feriti e fecero la spola fra stazione e ospedali. Si composero lunghe catene umane, formate da volontari, vigili del fuoco, soldati di leva in cui venivano passati i calcinacci e i mattoni nel tentativo di liberare la zona dell’esplosione, sperando di trovare persone vive, seppur ferite, sotto le macerie. Spesso si trovarono a lavorare fianco a fianco persone diverse, persone che, a Bologna, si erano trovate a fronteggiarsi anche aspramente sul pianopolitico Questa contrapposizione, in un certo senso ricomposta per l’emergenza, ritornò però durante le manifestazioni che segnarono la reazione politica di Bologna. Da un cantiere vicino giunsero quasi immediatamente ruspe e scavatori, poi affiancati da altri mezzi. Nella notte del 2 agosto venne terminato il primo lavoro di sgombero delle macerie, tutti i feriti erano stati soccorsi ed i morti ricomposti negli obitori trasportati anche con quell’autobus 37 che divenne nelle immagini e nella memoria uno dei simboli della strage. Nelle testimonianze dei feriti il ricordo è quello di aver avuto soccorsi immediati, di essere stati accolti negli ospedali e curati prontamente, di avere trovato anche comprensione e consolazione. L’amministrazione comunale istituì un Centro di coordinamento dove fu possibile, per i parenti delle vittime e dei feriti, essere ascoltati, assistiti ed ospitati.
Alle 17,30 del 2 agosto, il presidente della Repubblica Sandro Pertini arrivò in elicottero all’aeroporto di Borgo Panigale, si precipitò all’ospedale Maggiore dove era ricoverati molti dei feriti e dove era allestita una delle tre camere mortuarie. Incontrando i giornalisti Pertini non nascose lo sgomento: “Signori, non ho parole”, disse, “siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia”. Ancora prima dei funerali si svolsero numerose manifestazioni a testimonianza delle immediate reazioni della città: la sera del 2 agosto venne indetta una manifestazione in piazza Maggiore, il cuore della città; il 4 agosto 30, 40 mila persone si ritrovarono nella stessa piazza. Il 6 agosto, giorno dei funerali, le persone giunte a Bologna da tutta Italia riempirono anche le piazze e le vie circostanti Piazza Maggiore. In questa occasione si mostrarono nuovamente i contrasti fra due diverse componenti politiche: chi si riconosceva nel partito comunista e nei sindacati e chi si sentiva più vicino alla sinistra extraparlamentare, al movimento. Lo striscione portato da questi ultimi (la strage è dei padroni, nessuna delega alle istituzioni) fu fatto allontanare dalla piazza. Non tutte i parenti delle vittime vollero, però, il funerale di Stato: solo sette le bare presenti nella chiesa di San Petronio. Fuori della chiesa, la gente contestò le autorità, così come era già successo durante il funerale delle vittime della strage dell’Italicus avvenuta a San Benedetto Val di Sambro il 4 agosto 1974. Solo Sandro Pertini e il sindaco di Bologna, Renato Zangheri, ricevettero applausi. Dalla piazza si domandava ai rappresentanti delle istituzioni giustizia e chiarezza, le stesse richieste che fece il Sindaco nel suo discorso. Dopo i funerali la necessità di testimoniare solidarietà alle vittime e indignazione verso una strage così efferata, una strage di cui tutti i giornali del mondo si occuparono: dalla Francia all’Unione Sovietica e dalla Germania alla Cina, si concretizzò nell’allestimento, spontaneo, di quella che fu poi definita la rete del pianto: Sulla recinzione posta in stazione a delimitare il luogo devastato dall’esplosione vennero portati fiori, striscioni, messaggi, poesie e lettere in cui alla pietà si accostava sempre al richiesta di giustizia e chiarezza. Le indagini dei magistrati subirono diversi tentativi di depistaggio.
Nel 1995, vennero infine condannati all’ergastolo in via definitiva come esecutori della strage i terroristi dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari – formazione di estrema destra) Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Luigi Ciavardini, anch’egli esponente dei Nar e minorenne all’epoca dei fatti, è stato condannato in via definitiva nel 2007 a 30 come esecutore materiale della strage. Per i depistaggi furono condannati Francesco Pazienza, Licio Gelli – gran maestro della loggia massonica P2, il generale Pietro Musumeci e il colonnello Giuseppe Belmonte. I segni della memoria di quella strage sono visibili: in stazione dove nell’ala colpita, e ricostruita poco tempo dopo, sono poste lapidi a ricordo delle vittime. Il luogo in cui era stata collocata la bomba è ancora riconoscibile perché nella ricostruzione è stato lasciato il pavimento originario. Una altra lapide che ricorda questa e le altre due stragi avvenute in provincia di Bologna (Treno Italicus 1974 e rapido 904 1984) è posta a fianco del sacrario dei caduti partigiani in piazza del Nettuno, luogo in cui sono ricordati altri avvenimenti storici importanti per la città.
tratto da “Il racconto della strage” a cura di Massimiliano Boschi e Cinzia Venturoli – Yema – 2005