È la fotografia del Paese che emerge dal rapporto presentato oggi a Roma da “Avviso pubblico” sullo scioglimento dei Comuni per mafia
“Dal maggio 1991 al dicembre 2018 sono stati emanati ben 313 decreti di scioglimento, con una media di quasi 12 l’anno. Alcuni di questi decreti sono stati annullati dai Tar o dal Consiglio di Stato. Molti decreti sono stati invece prorogati, dando più tempo alle Commissioni straordinarie di operare. Alcuni Comuni hanno subito un doppio o un triplo scioglimento”. È la fotografia del Paese che emerge dal rapporto presentato oggi a Roma da “Avviso pubblico”, l’associazione nata nel 1996 per riunire gli amministratori pubblici che si impegnano a promuovere la cultura della legalità, sullo scioglimento dei Comuni per mafia. “Sul piano geografico – recita il rapporto – la concentrazione degli scioglimenti si registra nelle tre regioni a tradizionale presenza mafiosa, Sicilia, Calabria e Campania, con un andamento temporale tutt’altro che lineare. Nei primi anni di vita della normativa (1991- ‘93) si registra una media di circa 30 decreti all’anno. A questa partenza sprint segue, nel biennio successivo, una drastica riduzione, con una media di 3,5. Poi si ha una lunga stagione altalenante (1996-2011), seguita da una fase, che dura fino a oggi, di alti e bassi”. Il numero medio di decreti di scioglimento è lievemente in crescita.
Ma l’andamento complessivamente altalenante è riconducibile, secondo Avviso pubblico, alle forze contrapposte di mafia e antimafia. Dal punto di vista geografico, la gran parte dei decreti di scioglimento riguarda le aree meridionali del Paese. Su 313 decreti, 108 riguardano i comuni calabresi, 105 quelli campani, 75 i siciliani, 15 gli enti locali pugliesi. Se si tiene conto della diversa numerosità dei comuni di queste quattro regioni (409 in Calabria, 551 in Campania, 390 in Sicilia, 258 in Puglia), si ottiene che in Calabria si registra un decreto di scioglimento ogni 3,8 Comuni, in Campania e in Sicilia uno ogni 5,2, e in Puglia uno ogni 17,2. Circa la metà dei Comuni sciolti ha una popolazione superiore ai 10.000 abitanti, un quarto del totale ne ha una superiore ai 20.000. “Questi dati – recita il rapporto – seppur già utili per smentire la vulgata per la quale si sciolgono di più i Comuni piccoli e i piccolissimi, hanno però bisogno di un termine di paragone per essere compresi fino in fondo”. “La tendenza dei governi nazionali – rileva ancora il rapporto – è sciogliere i Comuni relativamente più popolosi“. Difatti, se tra tutti i Comuni siciliani quelli fino a 5.000 abitanti sono ben il 51% e quelli sopra i 15.000 abitanti il 17%, queste stesse percentuali diventano, tra i Comuni sciolti dell’isola, il 28% (dunque sotto-rappresentati) e il 33% (quindi sovra-rappresentati). Lo stesso vale per le altre due regioni. “Gli scioglimenti sono tutt’altro che tempestivi – sottolinea Avviso pubblico – poco meno della metà delle 313 amministrazioni sciolte sono rimaste in carica più di tre anni”. All’opposto, “solo una su cinque è stata colpita dal provvedimento entro due anni dall’insediamento degli organi politici”. Quasi un quarto sono state sciolte dopo esser rimaste in carica almeno quattro anni. La media complessiva di durata di un’amministrazione è “di 1.113 giorni, con punte che vanno dai soli 88 di Sant’Antonio Abate (1993) ai ben 1.860 di San Luca (2013)“, rileva ancora Avviso pubblico. Peraltro, nel corso del tempo l’intervallo medio cresce in maniera piuttosto consistente. Da questo punto di vista, quindi, recita il rapporto “non sembra che la politica degli scioglimenti abbia rivelato alcuna capacità di apprendimento”. “Su 328 decreti di scioglimento, 26 sono stati annullati dai giudici del Tar o del Consiglio di Stato“, spiega ancora il rapporto presentato oggi. “Tenuto conto che 62 amministrazioni sono state colpite da più di un decreto di scioglimento – osserva Avviso pubblico – gli enti locali complessivamente coinvolti nella procedura di verifica per infiltrazioni della criminalità organizzata sono stati fino ad oggi 278. Di questi 249 effettivamente sciolti (compresi un capoluogo di provincia e cinque aziende sanitarie)”. Vanno infatti considerati “i 45 procedimenti ispettivi conclusisi con l’archiviazione (si contano 15 amministrazioni interessate sia da archiviazione che da scioglimento. Inoltre un Comune ha subito due archiviazioni) – recita il rapporto di Avviso pubblico – sono 40, infine, gli enti attualmente sottoposti a gestione commissariale, tutti distribuiti tra Calabria (22), Sicilia (9), Puglia (5) e Campania (4)”.
Fonte: Adnkronos