Già in quegli anni, come oggi, la ‘ndrangheta controllava, in Piemonte, ristoranti, imprese edili e bar, compreso quello all’interno del Palazzo di Giustizia
Siamo a Torino. È domenica. Bruno Caccia ha passato la giornata fuori porta. Ha deciso di lasciare una giornata di riposo per la propria scorta. Sono passate da poco le 23:30 quando Bruno Caccia accompagna il suo cane nella passeggiata serale. Una Fiat 128 di colore verde si affianca. All’interno ci sono due uomini. Sono armati. Abbassano il finestrino ed esplodono verso Caccia 14 colpi. Poi altri tre, per essere sicuri della sua morte. Bruno Caccia era il Procuratore della Repubblica di Torino alla quale era arrivato nel 1967. Le indagini relative alla individuazione dei mandanti dell’omicidio, inizialmente si diressero verso le Brigate Rosse e gli ambienti limitrofi, peraltro oggetto di indagini da parte dello stesso Caccia. Il giorno successivo all’omicidio di Bruno Caccia, puntale, arriva la rivendicazione delle Brigate Rosse che risulterà poi essere falsa. Anche la pista che portò le indagini verso i neofascisti dei NAR fu presto abbandonata perché infondata.
Chi ha ucciso Bruno Caccia? Chi sono i mandanti del suo omicidio? Grazie alle rivelazioni di Francesco Miano, boss della cosca catanese radicalizzata a Torino, si è appreso che il mandante dell’omicidio di Bruno Caccia è Domenico Belfiore, capobastone della ‘ndrangheta torinese. Già in quegli anni, come oggi, ‘ndrangheta controllava, in Piemonte, ristoranti, imprese edili e bar, compreso quello all’interno del Palazzo di Giustizia. Inoltre attraverso il Piemonte risaliva il lungo fiume di denaro da riciclare grazie alla vicina presenza di Casinò. I Belfiore sono una ‘ndrina di Gioiosa Jonica con insediamenti anche a Torino, in Francia e Spagna. A Torino hanno stretto alleanze con le famiglie Ursini-Macrì. Nella motivazione sul movente la Corte, tra l’altro, afferma che “le ragioni del delitto vanno ricercate nella specifica attività di Caccia e dei suoi collaboratori, nel suo severo impegno contro la criminalità organizzata, ed il gruppo dei calabresi in particolare, del quale Belfiore era leader, nella minaccia che il lavoro della procura portava al patrimonio del vertice dei calabresi, nell’essere il dottor Caccia antagonista diverso da quelli ammorbiditi che Belfiore conosceva ed auspicava, nel rappresentare ostacolo grave, concreto ed incombente all’attività delittuosa di Belfiore e dei suoi sodali”. Domenico Belfiore, considerato boss della ‘ndrangheta, fu condannato in via definitiva come mandante dell’omicidio. Nel febbraio 2019, con sentenza definitiva, la Corte d’assise d’Appello di Milano ha confermato l’ergastolo, come esecutore materiale, a Rocco Schirripa. Secondo le indagini della Dda milanese, l’omicidio del magistrato fu una dimostrazione di fedeltà data da Schirripa ai boss, i quali sarebbero stati irritati dall’estremo rigore del magistrato torinese.
Roberto Greco per referencepost.it