Il delitto di Calogero Morreale rimarrà impunito e, sul suo omicidio, non fu mai raggiunta alcuna verità processuale

È il 18 giugno 1975. Calogero Morreale, segretario della sezione socialista di Roccamena, centro agricolo palermitano, e responsabile dell’Alleanza contadini, è sulla sua auto e sta rientrando a casa. Sta percorrendo la lunga strada che attraversa i possedimenti di un discusso e potente personaggio, Giuseppe Garda di Monreale, il cui nipote Franco fu sequestrato nel settembre dell’anno precedente. Di quelle stesse terre, venticinque anni prima, era affittuaria la famiglia Morreale, che proprio per l’impegno politico del capofamiglia nelle lotte per l’occupazione delle terre, fu cacciata e completamente defraudata. L’auto si perde all’orizzonte lungo la strada. È passata poco meno di mezz’ora, da quanto la polvere si è ridepositata sulla strada, dopo il passaggio dell’auto. Due contadini, Giuseppe Calamia e suo figlio, la stanno percorrendo a piedi. Una Fiat 500 è ferma in mezzo alla strada. Si avvicinano. Al suo interno vedono Calogero Morreale morto. Sette colpi di pistola oltre a una scarica a distanza ravvicinata, attraverso il parabrezza, hanno chiuso per sempre la bocca a Calogero. A casa, ad aspettarlo, ci sono la mogli e i due figli.

“E’ un delitto contro il paese – scriveva su “L’Ora” Nicola Volpes, grande giornalista, alcuni giorni dopo l’ omicidio – un’ intimidazione per tutti, la scelta di un uomo che da anni era un emblema, una bandiera attorno alla quale si riunivano quei consensi che non erano certo graditi a chi avrebbe voluto Roccamena ferma nel tempo, avulsa dalle idee nuove, dai rinnovamenti che cancellano i vecchi privilegi”. “Il paese si trova a una svolta per il suo futuro sviluppo civile ed economico – illustra Volpes – la modifica del piano comprensoriale, il parziale trasferimento dell’abitato che fu danneggiato dal terremoto della Valle del Belice, l’ estensione del vigneto per l’ incremento dei redditi agricoli. Battaglie per le quali – continua il cronista – la famiglia dell’ ucciso ha avuto sempre una precisa collocazione politica, impegnata sin dall’ immediato Dopoguerra nel movimento contadino e nei partiti di sinistra”.

Nonostante Pietro, il padre di Calogero, abbia accusato apertamente i mafiosi della zona, le indagini sono destinate ad arenarsi. Il delitto di Calogero Morreale rimarrà, così, impunito e, sul suo omicidio, non fu mai raggiunta alcuna verità processuale. L’allora giudice istruttore Paolo Borsellino, così scriveva la sentenza che archiviava le accuse di favoreggiamento nei confronti di tre potenziali testimoni: «A causa della sua intensa attività politico-amministrativa, espletata in un ambiente sociale ove i privati interessi vengono prepotentemente difesi da parte degli interessati a discapito del bene pubblico e in acerrimo conflitto con loro, Calogero Morreale aveva per certo con numerosi individui e nuclei familiari notevoli ragioni di contrasto, in special modo con riferimento alla regolamentazione dell’ attività urbanistico-edilizia e alla promozione di attività cooperativistiche, delle quali s’era di recente ampiamente interessato”. La mancanza della sentenza, ha, inoltre, reso impossibile il riconoscimento a Calogero Morreale, da parte dello Stato, di “Vittima della mafia”.

Roberto Greco per referencepost.it