Quattro componenti dell’organismo parlamentare erano stati indagati dopo l’acquisizione dei nominativi delle logge calabresi e siciliane. Ma il gip di Roma ha bocciato le tesi dei difensori del Grande Oriente d’Italia
È stata archiviata l’inchiesta avviata dalla Procura di Roma nei confronti degli ex vertici dell’Antimafia Rosy Bindi e Claudio Fava e dei componenti Davide Mattiello (Pd) e Mario Michele Giarrusso (M5s) denunciati nell’ottobre del 2017 dal Grande Oriente d’Italia (Goi) e dal Gran Maestro Stefano Bisi che chiedevano alla magistratura di valutare la liceità del sequestro degli elenchi degli iscritti alla massoneria calabresi e siciliani operato dalla Finanza su sollecitazione della Commissione parlamentare della passata legislatura. Lo ha deciso il gip Valerio Savio che ha bocciato l’opposizione delle persone offese (Goi e Bisi) alla richiesta di archiviazione avanzata tempo fa dalla stessa procura.
I quattro parlamentari erano stati iscritti sul registro degli indagati per il reato di diffamazione, mentre solo la presidente della Commissione Rosy Bindi, assistita dall’avvocato Giorgio Beni, rispondeva anche dei reati di abuso d’ufficio e rivelazione del segreto d’ufficio. Motivando la sua decisione, il gip Savio ha spiegato che «nelle dichiarazioni “incriminate” degli indagati si fanno correlazioni in generale tra il mondo massonico “deviato” e la mafia siciliana ma non si chiama mai in causa specificamente né Bisi né il Goi e che ogni assimilazione tra Goi e “massoneria deviata” operata dai media non può essere imputata agli stessi indagati». Nessuna ipotesi di abuso d’ufficio, poi, può essere attribuita a Rosy Bindi perché «la decisione di procedere a perquisizione e sequestro presso la sede di diverse istituzioni massoniche per acquisire gli elenchi di appartenenti alle logge calabresi e siciliane, anche cessate dal 1990 in poi, è frutto di un provvedimento adottato all’unanimità dei componenti della Commissione (25 deputati e 25 senatori)» e non può dipendere dalla volontà dell’allora presidente o di altri singoli componenti. Per il giudice, inoltre, «gli elenchi di una associazione privata (massonica o meno) non sono oggetto di “segreto” giuridicamente opponibile all’autorità giudiziaria, e quindi anche ad una Commissione Parlamentare di inchiesta, quando, come in questo caso, la loro acquisizione sia funzionale e coerente con le finalità di una indagine volta ad accertare (anche) fatti di possibile rilevanza penale». E non ci sono infine neppure gli estremi per contestare una rivelazione del segreto a Rosy Bindi o arrivare a identificare il colpevole, per il fatto che un’agenzia di stampa aveva dato notizia delle perquisizioni nove minuti prima dell’inizio dell’attività investigativa. Per il gip, quel decreto di perquisizione, oltre che ai 50 componenti dell’Antimafia, era noto dal momento della sua deliberazione anche al personale amministrativo e di segreteria e lo stesso atto è stato consegnato alla Finanza, e quindi a un certo numero di militari, «in un tempo variabile tra 30 e 60 minuti prima dell’inizio delle operazioni».
Fonte: corrieredellacalabria.it