La Fiat 132, in velocità, affianca la Scirocco. In quel momento, il boato di un’esplosione che squarcia completamente la Scirocco e distrugge, in parte, la 132 blindata
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È la mattina del 2 aprile 1985. Siamo a Erice, in provincia di Trapani. Barbara era riuscita, a fatica, a infilare nell’auto Salvatore e Giuseppe, i suoi due figli gemelli. Sarà la primavera, sarà che andare a scuola non li entusiasmava, ma quella mattina i gemelli non volevano vestirsi. Margherita, la sorella più grande, aveva preferito chiedere un passaggio alla vicina di casa, prevedendo che il ritardo si sarebbe protratto. Sono quasi le 8:30 quando, sulla sua Volkswagen Scirocco pensa che, oramai, il peggio è fatto. Ogni mattina prende quella strada, che da Valderice arriva a Trapani costeggiando il lungomare, la Sp20. È una bella mattinata, il mare brilla illuminato dal sole. Tra non molto li avrebbe lasciati a scuola. Salvatore e Giuseppe stanno giocando, sul sedile posteriore.
Stop. Rewind.
Il sostituto procuratore della Repubblica di Trapani, Carlo Palermo sta viaggiando sulla Fiat 132 blindata di servizio. L’auto è seguita da un Fiat Ritmo di scorta, non blindata. La destinazione di Carlo Palermo è il Palazzo di Giustizia di Trapani, dove si è insediato da poco meno di cinquanta giorni. Si sta occupando delle indagini sulle connessioni nei traffici di armi e di droga tra mafia, criminalità internazionale e la politica. Sono quasi le 8:30. La 132 corre veloce sulla Sp20.
Stop. Play.
In lontananza l’autista nota la Scirocco. L’autista accelera per sorpassarla in sicurezza e per permettere la medesima manovra all’altra auto di scorta. Nessuno nota l’auto parcheggiata lungo la strada. La Fiat 132, in velocità, affianca la Scirocco. In quel momento, il boato di un’esplosione, che si sentirà a qualche chilometro di distanza, squarcia completamente la Scirocco e distrugge, in parte la 132 blindata. È subito chiaro che si tratta di un attentato al giudice. Ma è altrettanto chiaro che gli assassini non si sono fatti alcuno scrupolo dei passeggeri dell’auto che il caso ha voluto che passasse in quel momento, pensando di poter comunque uccidere il giudice Palermo. Nell’esplosione muoiono disintegrati Barbara Asta, di 31 anni, e i suoi due figli, Salvatore e Giuseppe, entrambi di sei anni. I due agenti di scorta che viaggiavano sulla Fiat 132, Rosario di Maggio e Raffaele Mercurio, rimangono leggermente feriti mentre gli altri due sono gravemente colpiti dalle schegge, Antonio Ruggirello a un occhio, Salvatore La Porta alla testa e in diverse parti del corpo. Dopo l’arrivo dei soccorsi e delle autopattuglie il giudice Palermo raggiunge il palazzo di Giustizia con un’auto della Polizia e qui i colleghi lo convincono a recarsi all’ospedale Sant’Antonio Abate dove è sottoposto ad un esame audiometrico e ricoverato.
Carlo Palermo, era appena stato trasferito a Trapani da Trento, dove aveva condotto un’indagine difficile e scomoda su traffico d’armi e droga arrivata a toccare poteri forti, servizi segreti e loggia P2, e a lambire Bettino Craxi. Che aveva chiesto, e ottenuto, la sua estromissione dall’inchiesta. Il magistrato decise allora, nel 1985, di farsi trasferire alla procura di Trapani, dove le sue indagini si erano incrociate con il collega Giangiacomo Ciaccio Montalto ucciso nel 1983. Il giudice Palermo si era incontrato a Trento con Ciaccio Montalto tre settimane prima che fosse ucciso per scambiarsi informazioni riservate sul filone dell’inchiesta che riguardava il traffico di stupefacenti. In quel momento, Carlo Palermo è sulle tracce di una grande raffineria di droga nel trapanese, e questo fa di lui un bersaglio. Una verità suggerita dalla sentenza finale per la strage di Pizzolungo dove si legge: “L’attentato diretto contro il dottor Carlo Palermo costituisce l’ennesima azione terroristica di Cosa nostra contro un magistrato che osava sfidarla così come aveva sfidato in precedenza i poteri forti, subendone pesanti ritorsioni. Non è escluso che con la soppressione di Carlo Palermo il vertice siciliano di Cosa nostra pensasse di rendere un favore non solo a se stesso”. Per la strage di Pizzolungo sono stati condannati i boss Totò Riina, Vincenzo Virga, Balduccio di Maggio e Nino Madonia. L’esplosivo che fece a pezzi Barbara, Giuseppe e Salvatore è riconducibile allo stesso tipo usato nella strage del Rapido 904, che il 23 dicembre 1984, fece 17 vittime. E non è forse un caso che uno degli uomini che collaborò alla realizzazione dell’attentato di Pizzolungo, Gioacchino Calabrò, sia lo stesso esperto d’esplosivo che diede il suo contributo alle stragi del 1993.
Barbara Asta era nata a Trapani il 22 febbraio 1955. Era al volante della sua auto e stava accompagnando a scuola i suoi due figli più piccoli, Salvatore e Giuseppe. La sua auto si trovò a fare da scudo involontario a quella che trasportava il giudice Carlo Palermo durante un attentato a lui destinato. Furono disintegrati. Rimasero a piangerli Nunzio, il marito di Barbara e padre e dei due gemelli, oltre a Margherita, la figlia.
Roberto Greco per referencepost.it